Pambianco – Moda e Lusso 2018 Made in Italy

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Accademia del Lusso ha avuto il piacere di ospitare lunedì 19 novembre David Pambianco, Vice Presidente di Pambianco Strategie di Impresa Srl, fondatore del portale www.pambianconews.com e della rivista Pambianco Magazine, una delle più diffuse e autorevoli testate per imprenditori, manager, retailer e opinion leader della moda, del lusso e del design, con più di 50.000 lettori.

A seguito del convegno ‘Dalla manifattura allo store del futuro’ tenutosi a Milano davanti a più di 700 aziende del settore presso Borsa Italiana, David Pambianco ha parlato della sfida attuale della moda, tra heritage e futuro, tra manifattura artigiana e mercati multichannel, mettendo in evidenza una crescita differenziata tra i due sistemi moda italiani: il lusso e il “non-lusso”.

Di seguito un report degli interessanti dati condivisi con studenti e docenti:

Moda e lusso “made in Italy”: + 8% nel 2018

L’industria della moda e del lusso ha consolidato la sua crescita nel 2018 con un aumento dell’8% a livello mondiale. La redditività del settore non mostra lo stesso livello di crescita, a causa di un aumento della complessità del sistema lusso.

Sono le caratteristiche del Made in Italy -creatività, prodotto, qualità, bellezza- a conquistare i mercati esteri e a convincere fondi e investitori stranieri a capitalizzare nel sistema del lusso italiano.

Crescita dell’industria della moda e del lusso ad un ritmo differenziato

In Italia, il settore è diviso in due tendenze e modelli economici che si stanno allontanando in termini di posizionamento e sviluppo:

– il settore del lusso, capace di reinventarsi profondamente investendo in differenziazione, esperienza e qualità,
– il settore “non di lusso” (con aziende di dimensioni più piccole), ancora allineato con modelli economici precedenti.

Le aziende del lusso hanno registrato un tasso di crescita del 6,4% nel periodo 2014-2017, rispetto al 4,8% delle imprese non di lusso (fascia bassa, media e alta gamma). La dimensione media delle società di lusso è pari a 624 milioni di euro contro 257 milioni per le PMI “non di lusso” (proporzione simile sul margine EBITDA: 22% rispetto al 13%). Ciò indica che in Italia il sistema del “fare” il lusso è più facile e più favorevole.

Motivo per il quale l’Italia del lusso è capace di attrarre capitali e investimenti esteri, come l’americano Michael Kors con Versace e il francese Kering con Gucci. In un mondo globale i capitali vanno dove c’è valore, con risorse che fanno crescere il Made in Italy, mantenendo la qualità manifatturiera e il capitale umano, alla conquista dei mercati esteri, particolarmente quelli asiatici.

L’85% delle aziende di lusso produce in Italia, il 62% delle esportazioni sono extra-europee

Molte aziende di lusso continuano o sono tornate a produrre in Italia (re-shoring): una re-localizzazione della produzione che raggiunge l’85% nelle aziende di lusso e nel sistema “made in Italy” è in costante crescita. All’opposto, le società non di lusso producono solo il 13% in Italia (scegliendo l’Asia come principale fornitore e produttore) e questo dato è perfino diminuito nel 2017.

La stessa tendenza si registra anche in termini di destinazione delle esportazioni: le aziende di beni di lusso vendono il 38% in Italia e in Europa (con la particolarità che la Svizzera si è trasformata in hub logistico dei grandi gruppi del lusso), il 62% delle vendite è esportato al di fuori dell’Europa, principalmente verso i mercati asiatici ( il 38% in Asia e il 19% negli Stati Uniti).

I consumatori asiatici rappresentano 38% del mercato ; a questo numero bisognerebbe aggiungere almeno un 10% di “travel customers”, viaggiatori asiatici che acquistano i prodotti del made in Italy in Italia, per una quota consuntiva pari al 50% del mercato totale. Questo fenomeno, unito alla crescita digitale e alla capacità delle aziende del lusso a soddisfare i clienti sia in termine di prodotto sia a livello di esperienza, si traduce in un target giovane. Il lusso è un prodotto per giovani, capace di relazionarsi con questa fascia di mercato.

Le società non di lusso fanno fatica a conquistare questi mercati, il 91% delle loro vendite è realizzato in Italia e in Europa, mostrando una reale difficoltà ad esportare al di fuori dell’Europa ed a creare una relazione con i consumatori più giovani.

Distribuzione diretta e piattaforme digitali

Un altro fattore di distanza tra le industrie del lusso e del non-lusso riguarda il canale distributivo: la distribuzione offline diretta (negozi fisici) con la prevalenza dei negozi di lusso di proprietà e la crescita della distribuzione online (e-commerce e negozi digitali). Il 50% delle grandi aziende utilizza un fornitore di piattaforme, ma solo il 4% delle aziende non di lusso utilizza questa partnership, il che significa che le piattaforme di e-commerce sono principalmente focalizzate su prodotti e servizi di lusso.

A sostenere la crescita della rete distributiva diretta il recente fenomeno della distribuzione blend, ossia l’integrazione omni channel offline/online (mix retail tradizionale e online) dei diversi canali di vendita, per dare l’esperienza migliore al consumatore e proporre soluzione nuove e flessibili.

Forte aumento del digitale nell’esperienza del consumatore e nella relazione con il marchio

Ci sono anche alcune grandi differenze in merito agli investimenti nella comunicazione. Negli ultimi tre anni, i marchi hanno spostato l’allocazione dei loro budget pubblicitari dai media tradizionali alla comunicazione digitale e ai social network. Il compartimento del lusso sta cercando di soddisfare le esigenze della generazione Millennials e creare una relazione emotiva basata sull’esperienze diretta.

Per fare la differenza in un mercato così competitivo e soggetto ai cambiamenti è particolarmente rilevante l’inclusione dei clienti, con cui oggi il marchio si deve rapportare in modo diretto, “parlando” a una community di persone informate e consapevoli. Servono quindi nuove tecnologie per stimolare il desiderio del consumatore con un immaginario cool e rendere l’acquisto più appetibile. La proposta del brand crea la domanda all’interno del mercato di riferimento.

La distanza tra il marchio e il consumatore si è notevolmente ridotta, i drivers a monte si sono moltiplicati; ciò richiede quindi più investimenti e creatività per migliorare l’esperienza del consumatore e rafforzare la comunicazione. In effetti le imprese più piccole si stanno muovendo molto meno rapidamente verso la migrazione digitale e stanno lottando per far fronte a questo cambiamento, con meno forza competitiva e soggette alla concorrenza dei big player mondiali.

Queste nuove strategie comportano ulteriori costi per le aziende e hanno accentuato la polarizzazione tra le performance tra aziende medio-piccole e grandi. Il prodotto e la creatività sono fondamentali e la qualità è una risorsa indispensabile.

Le grandi società generano una performance di rendimento molto superiore a quella delle imprese con capitalizzazione inferiore. Il sistema dell’industria tessile-moda italiano è un modello di successo che richiede investimenti e supera i 90 miliardi di fatturato e continua a crescere. In breve, “fare business” è diventato più costoso, il che rende più difficile raggiungere la redditività. Il fattore dimensionale è un elemento di differenziazione sempre più rilevante.

Questo articolo è basato sull’intervento di David Pambianco all’Accademia del Lusso e sull’analisi “Dalla fabbrica al negozio del futuro”. La ricerca ha preso in esame i diversi livelli della catena del prodotto, partendo da un esame dei bilanci delle 110 maggiori imprese italiane, alle quali è stato poi sottoposto un questionario, ottenendo una redemption di oltre il 30%.

Chloé Payer
Docente di Accademia del Lusso