Inclusività e altre paure croniche di massa è un’analisi della società in cui viviamo. Tutto urla “sii te stesso” ma ognuno è pronto a puntare il dito. Breve approfondimento, dalla letteratura a Barbie, di come dei colossi affrontano il tema dell’inclusione sociale.
Qualche anno fa una giovane Mary Shelley scrisse un romanzo che ha influenzato la letteratura e tutto ciò che è stato dopo: Frankenstein. Tutti sappiamo a cosa ci si riferisce, pochi di cosa si sta realmente parlando. La creatura del Dottor F. è l’esempio per eccellenza del diverso che, in quanto tale, causa disturbo. Se vi dicessi però che tutto quello che vuole è essere amata? Sentirsi parte di qualcosa, avere al proprio fianco un suo simile per vivere in compagnia. È il 1818 e, seppur in modo controverso, una delle prime donne simbolo dell’emancipazione femminile scrive un romanzo sulle conseguenze tragiche del sentirsi diversi ed emarginati all’interno di un contesto. Inclusività e altre paure croniche di massa: per sintetizzare in una frase la figura della Creatura. L’accettazione che cerca e le masse che terrorizza (ma da cui in realtà è terrorizzata).
Inclusività, questo è stato il tema centrale del dibattito organizzato il 27 aprile da Accademia del Lusso con ospite Simona Tassone.
Simona è un’artista poliedrica: attrice, modella plus size, conduttrice TV e scrittrice. Una personalità frizzante dall’animo gentile con la quale ci siamo chiesti: perché è così difficile vedere una persona per quello che è piuttosto che per come appare? Può essere una taglia in più, una in meno, l’etnia, il sesso, una disabilità. Quando si capta qualcosa di diverso subito è disturbante e ci giriamo dall’altra parte.
Abbiamo la fortuna oggi di vivere in un presente in cui Barbie non è più alta e magra, bianca e bionda. Per chi da bambino giocava con bambole tutte uguali che riusciva a distinguere solo per acconciatura e vestito, è decisamente emozionante guardare il trailer del film prodotto da Mattel e Warner Bros e vedere tante donne diverse rispondere al nome di “Barbie”. Lo avreste immaginato negli anni ’90 un film dove “Miss Perfezione” viene cacciata da Barbie Land perché il suo aspetto non è perfetto?
La Mattel è storicamente nota come un’azienda inclusiva – lanciò la prima bambola nera nel 1968, Christie, e nel 1980 le prime bambole nere e ispaniche che rispondevano al nome di Barbie. Solo nel 2015 Barbie presenta tre nuovi tipi di corporatura: curvy, (più) alta e minuta. Dal 2019 al catalogo vengono aggiunte le prime bambole portatrici di disabilità fisica permanente (in sedia a rotelle o con protesi) e oggi sul mercato viene lanciata la prima Barbie con sindrome di down.
Dovremmo, come la Mattel, cavalcare l’onda e vedere le persone per quello che sono aldilà del loro aspetto. Le piramidi sociali fanno tanto antico Egitto – che come ispirazione potrà essere un masterpiece ma non se si parla di diritti sociali. Inclusività e altre paure croniche di massa: come quella che dobbiamo accogliere e quelle che dobbiamo lasciar andare.
Iniziamo togliendoci dai panni di Victor Frankeinstein e proviamo a vedere il mondo dal punto di vista del “Demone”.