Si parla sempre del numero di modelle curvy in rapporto alle passerelle, ma cosa sappiamo dei modelli oversize uomini? Meno di niente. Perché se delle donne almeno si parla, la voce degli uomini nessuno la sente.
Al termine del fashion month dedicato alla moda maschile per la primavera/estate 2024 si sono tirate le somme. Le curve maschili non sono contemplate in passerella. E soprattutto non a Milano. Solamente sei show su 72, worldwide, hanno visto la presenza di almeno un modello plus-size, che veste una taglia a partire dalle 56 o XL. Dodici look su oltre 3mila uscite in passerella.
Quante volte ci sentiamo dire, che si tratti di moda femminile o maschile, che non tutti i corpi sono davvero rappresentati in sfilata? Ormai è la frase mantra alla fine di ogni fashion week. E da una parte ce lo si spiega perché si ricerca la donna sotto la taglia 40. Lo si condivide? Certamente no. Ma ce lo si spiega. Perché però l’uomo? Senza considerare i budget a disposizione dei brand da investire in un singolo lancio, che sicuramente impattano, quello che farebbe davvero andare fuori di testa pubblico e compratori sarebbe vedere sfilare uomini di tutte le taglie.
Ma tutti questi modelli così magri, esattamente, dove li prendono? Se si pensa ad un corpo maschile vengono subito in mente spalle e torace larghi e la maggior parte dei look proposti in passerella spesso non sono neanche lontanamente adattabili ad un corpo del genere. Sarebbe innovativo innanzitutto vedere qualcosa che possa valorizzare il corpo, che sia di taglia XS piuttosto che XXL. E che non siano le solite camicie destrutturate e bomber jacket.
Tanto che le tendenze della moda uomo, in termini di forme e modelli, è difficile ritrovarle nelle vetrine delle catene di moda accessibile. Perché quale essere umano le comprerebbe veramente? Durante l’ultimo fashion month uno dei pochi a farsi notare in questo senso è stato Pharrel Williams al suo esordio creativo da Louis Vuitton. Pochi ne hanno scritto, ma per quante aspettative (in negativo o positivo che fossero) anticipassero lo show, Williams ha presentato in passerella una collezione che davvero comunica con le masse. E non solo per la messa in scena e il numero di celeb in frontrow.




Un mix di stili adattati ad un mix di corpi. Un casting vastissimo, per etnia e taglia, che mette le persone nella posizione di immedesimarsi davvero in quello che stanno guardando. Di immaginarsi davvero con i look indosso. Parliamoci chiaro, nei casi specifici facciamo riferimento comunque a look che ricordano parcheggiatori abusivi e impiegati (ma in Vuitton). Almeno però abbiamo qualcosa a cui riferirci.
All’inizio citavamo Milano. Nella nostra capitale della moda, lo scozzese Charles Jeffrey Loverboy ha proposto in passerella una propria interpretazione contemporanea della Restaurazione Seicentesca – periodo in cui la monarchia inglese venne ripristinata, con Re Carlo II, e che ispirò profondamente la produzione teatrale del tempo ndr. Interpretazione che unisce costume storico e sportswear, accompagnati da props e attitude estremamente teatrali. Ed è stata l’unica sfilata milanese con all’interno del proprio cast modelli mid/oversize.


E allora, sdoganata la moda gender fluid, il prossimo passo sarebbe quello di creare collezioni che non siano solo scenografiche e perfette da dare in pasto alla stampa. Perché uno show può lasciare a bocca aperta, ma se non trova posto all’interno dei nostri guardaroba, muore lì. O dura il tempo di un carpet per qualche celebrità. Mentre per le strade continueranno a spopolare tristi t-shirt con logo che non hanno niente da dire.