Simone Guidarelli: funny sì, ma mai superficiale

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La scorsa settimana abbiamo avuto il piacere (e il privilegio) di fare quattro chiacchiere con Simone Guidarelli: fashion editor, stylist, consulente d’immagine e art director italiano di fama internazionale. Parliamo di più di settanta copertine per Vanity Fair e Glamour Italia, cari lettori.

L’intervista a Simone Guidarelli

Un creativo straordinario il cui mantra è: la curiositá come motore della vita. E non basterebbero centinaia di parole per raccontare a voi la quantità di ruoli ricoperti dal nostro protagonista. Vi basti sapere che la figura dello Stylist, professionalmente parlando, è molto più complessa di quello che si pensi. Una sola premessa da fare: chi siamo oggi non è altro che il prodotto di tutte quelle piccole cose che, nel corso della nostra vita, per caso sono risultate essere collegate da un filo sottile.

Ma prima del professionista, volevo innanzitutto conoscere Simone. Così gli ho chiesto di un ricordo che lo potesse presentare e con cui adesso lo introduco a voi: 

“L’immagine che forse più mi racconta è di me bambino, a Cagli, quando studiavo danza classica. Ricordo i saggi, dove ero l’unico bambino sul palco. È l’immagine di un mix di cose che mi hanno sempre caratterizzato: energia, desiderio e timidezza. E non era facile essere l’unico maschio in un gruppo di bambine, a fare una cosa “da femmine”, soprattutto in un piccolo paese. Ma questa sofferenza mi ha insegnato sin da piccolissimo a non costruire la mia vita sulle esperienze negative. Ho cercato di trasformare tutto, almeno dentro di me. 

È stato complicato ma (così) ho imparato a vedere le difficoltà in modo diverso: non tanto come ostacolo insormontabile ma come cose alle quali avrei potuto trovare una soluzione. Ho avuto la fortuna di crescere all’interno di una famiglia molto forte che mi ha insegnato ad essere coraggioso, e io tutto questo lo ritrovo nel modo in cui mi approccio al lavoro. Finisco sempre per scegliere la via “meno facile”, nel senso che non sono comprabile. È una cosa molto complicata: dietro l’ironia che mi contraddistingue c’è anche quella sofferenza di chi fa delle scelte e non ha paura di dire le cose per come stanno.

La moda non è altro che la trasformazione delle idee

Da sempre, Simone guarda alla moda come ad uno strumento. È quella cosa che fin da giovanissimo gli permetteva di esprimere in qualche modo una forma di gioia ed ironia. Così andava negli outlet, dove comprava quanto di più bizzarro e moderno potesse cadere sotto il suo sguardo. E poi, quegli stessi pezzi, li trasformava in qualcosa di assolutamente nuovo. 

Fino a quando circostanze della vita lo hanno portato ad entrare in contatto con realtà che operavano nel lusso. “(…) andavo nei maglifici a conoscere queste vecchie signore che facevano la maglia – per Yves San Laurent, ad esempio. Ed essendo io una persona molto curiosa, ho sempre chiesto di vedere come si facessero le cose. Oggi, se mi fai vedere una maglia, so dirti tutto sulla sua realizzazione tecnica. Perché nel frattempo, pur facendo l’università – all’epoca Simone frequentava la facoltà di Psicologia a Roma, ndr. – imparavo. La mia curiosità mi ha portato a conoscere nel profondo tutto questo mondo della moda. Il come si fanno le cose. Questo mi ha permesso poi, a distanza di tantissimi anni, di fare consulenze e di lavorare con i designer. Di parlare il linguaggio sia loro che di chi la fa, la moda. Di chi le costruisce, le cose.”

Ma cosa vuol dire essere uno stylist? La visione di Simone Guidarelli

Viviamo in un presente in cui la figura dello stylist è sconosciuta ai più – anche a causa delle numerose traduzioni televisive che, dall’inglese, continuano a riportare il termine erroneamente con la parola “Stilista”. Come se poi fosse la stessa cosa.
Quella di cui parliamo oggi è la figura professionale eternamente dietro le quinte: il burattinaio che tira silenziosamente i fili di tutto quello che ci circonda, dalle sfilate di moda alle pubblicità in televisione. Può sembrare facile, lì dove viviamo in un mondo in cui tutti sono bravi a riprodurre le cose e pochi a renderle proprie. E Simone ci spiega, con le sue parole, perché non è così:

“In questo lavoro, che erroneamente si pensa essere semplice e superficiale, bisogna sempre giustificare il perché di quello che si fa e del modo in cui si sceglie di farlo”, racconta. “Per me essere uno stylist vuol dire avere un proprio modo di fare ricerca. E questa chiave la si può trovare solo all’interno della propria storia: nel propio vissuto, nelle proprie radici, nelle persone che si sono incontrate lungo la strada. Bisogna sempre partire da quello che si ha all’interno del proprio bagaglio e non smettere mai di essere affascinati dalla scoperta delle cose. La curiosità è il motore della vita.” 

In un settore in cui si punta troppo poco sul valore altrui, Simone ci parla poi del talento. Quel dono ma non un regalo, da scoprire e continuare a nutrire ogni giorno. “Potrei parlarti dei ragazzi che lavorano con me: io voglio scoprire il loro talento. Anzi, credo proprio che il mio compito sia quello di indirizzarli ad una crescita professionale e alla scoperta di un loro modo di fare le cose. E per fare questo, per sviluppare il proprio talento, non bisogna mai smettere di studiare, di leggere libri, guardare film. Di essere curiosi. Per come la vedo io, bisogna saper comprendere le cose, prendere spunto, per reinterpretarle secondo la propria chiave di lettura.”

“Sul lavoro non veniamo tanto apprezzati perché portiamo una consegna a termine, ma per come lo facciamo. Per il nostro modo di cercare. Per il nostro modo di raccontare. Quando lavoriamo con le celebrities ad esempio, anche per il nostro modo di leggere le persone (e non solo i personaggi). È il nostro talento a farci apprezzare come professionisti”.

Non solo uno Stylist: Simone Guidarelli tra fashion e interior design

Uno Stylist, appunto, che sì è sviluppato anche come designer. Ad oggi vanta una linea di abbigliamento, accessori ed eleganti carte da parati: tutti resi inconfondibili da pattern ispirati alla natura incontaminata, ai motivi orientali e a quelli rinascimentali. Accostamenti di piante e animali, tutti scelti per un particolare significato simbolico, accompagnati dal colore. 

Colori che, in diverse sfumature, Simone ci racconta di conservare all’interno di una serra per un anno: per osservare, di mese in mese, la loro resa alla luce del sole. Un processo che dice tanto sulla cura e il perfezionismo che il creativo pretende (innanzitutto) da se stesso sul posto di lavoro. “Per me la casa, l’ambiente che vesto, deve essere bella. Deve far sentire bene, protetti. Sia a dicembre che ad agosto, quando c’è una luce diversa. Inoltre i disegni – che sono tutti prima dipinti a mano e poi digitalizzati – sono ricchi di particolari. Per me è importante che, dal proprio divano, ne si possano scoprire sempre nuovi dettagli.”

E ai suddetti motivi sono collegate una serie di collaborazioni con note aziende del lusso, spaziando dall’abbigliamento alle automobili. Collaborazioni “completamente casuali”, racconta Simone. Frutto di opportunità che semplicemente si sono presentate.

“Credo che non tutto nella vita si possa programmare ma semplicemente che a volte delle cose debbano succedere e basta. Ad esempio: chi l’avrebbe mai detto che Bentley sarebbe stata interessata a fare un progetto con me? Io che non sono un grande intenditore di automobili, anche se in quel caso ne riconoscevo la bellezza. O anche K-Way. Io ero per caso nei loro uffici e in quel periodo avevo appena creato le mie prime carte da parati. Uscirono fuori i prototipi, per caso, e chi li vide ne rimase entusiasta. Così mi chiesero se fossi interessato ad una collaborazione. Era febbraio e due mesi dopo, ad aprile, lanciarono la linea di giubbotti con le mie fantasie.

Tutto questo per dire che, se si lavora duramente e si mette tutta la propria anima in quello che si fa, qualcuno noterà il tuo valore. E qualcosa, anche di inaspettato, succede sempre.

Un sogno per il futuro? Un’agenzia creativa a disposizione di chiunque abbia voglia di creare, imparare o mettersi alla prova. Una realtà fatta di persone, di talenti, con energia e voglia di fare. “Mi piacerebbe una specie di Academy dove costruire e lavorare allo stesso tempo, su progetti reali. Peccato che in Italia preferiamo prendere le cose dalle agenzie americane e pagarle il quintuplo piuttosto che riconoscere che qualcuno stia facendo qualcosa di bello qui.”